Terra

Posted on 01/01/2022 in amarcord

Fine del secolo scorso, sto lavorando a un accrocco software che deve pilotare dell'hardware, in ambiente Windows. Robe vastàse con seriali e parallele perché altro non v'è. Il tutto inserito dentro un aggeggio grosso come quattro bare, che fra noi chiamiamo "la consolle dell'Enterprise".

Il software ha un nome di cui mi sono vergognato per anni, fino a quando ho scoperto che qualcuno aveva chiamato un progetto europeo con l'acronimo "Pronacul".

E questo affare non funziona -- okay, ma "non funziona" in una maniera assurda e perfino imbarazzante. In sviluppo va tutto bene, in testing va tutto bene, si installa sulla consolle di produzione, e dopo un giorno o due succede il rebelot. Il mio collega, che chiameremo Alberto, senza mezzi termini parla di sabotaggio, e c'è da dire che ha i suoi motivi: guasti hardware improbabili uno via l'altro, tre schede video bruciate in quindici giorni, il modem che negozia una volta sì e sette no, la memoria che improvvisamente s'imballa. La memoria, perdinci.

E per andare in loco serve l'aereo e non m'invento nulla: siamo arrivati al punto che alla hostess della Meridiana chiedo scherzando "il solito", e lei me lo porta. Torno a casa, mi butto sul letto strafatto (io, non il letto), mi chiedono cos'ho e, volendo rispondere "Nulla", il mio centro del linguaggio produce invece "Il fattore di allineamento delle bitmap non va come una potenza intera del due".

Alla fine, il disastro assoluto colpisce: il progetto arriva alla fase in cui rimaniamo solo noi a dover consegnare, il grande capo giura ai Poteri Forti - ovviamente - che tutto è pronto, e quindi? E quindi arriverà il ministro a fare la passerella. Una settimana di tempo. E. DEVE. FUNZIONARE. TUTTO.

A tre giorni da impatto "fine di muondo", Alberto ed io sbarchiamo per l'ennesima volta nel ridente paesino di ***, e io mi metto a fare tutti i test di integrazione dell'universo criàto. Alcuni vanno, altri no. Ripetendoli, ci sta che ciò che non andava vada, e viceversa. Mi giurassero che la sala operativa è stata costruita su un antico cimitero azteco e il cassone è adesso pertanto posseduto dall'animaccia nera di Huitzilopochtli, ci crederei a occhi chiusi. Vengo da un mese molto stressante; comincio ad allucinare. Da dentro i tombini per la strada, mi appaiono clown che mi propongono soluzioni di debug.

A un certo punto, dopo tre giorni che mangio poco, dormo meno, non mi lavo e non mi rado (le prime due per me sono molto insolite), prevedibilmente mi parte il boccino.

"Basta," esplodo, "io adesso questo ammasso di rottami radioattivi lo smonto pezzo a pezzo finché non arrivo ai bulloni, che almeno i bulloni dicono la verità!"

Nel mentre che Alberto mi guarda con aria preoccupata, io senza neanche spegnere niente, come un forsennato apro il portello del cassone e procedo a staccare i cavi dal computer principale.

Stacco i connettori del mouse, del video, della tastiera. Stacco il connettore di rete RG-58 (eh già) e quello della seriale. Stacco la porta parallela.

E' rimasto solo il cavo dell'alimentazione della corrente ed il bocchettone del cavo d'antenna che va sul tetto.

Mi sporgo dentro il cassone, appoggio la mano destra sudaticcia sullo chassis metallico del computer, allungo la sinistra, afferro il bocchettone pure metallico del cavo, e inizio a svitare digrignando i denti.

Due giri, tre, quattro, e finalmente il bocchettone è libero, e tenendolo saldamente nella sinistra sudaticcia, lo stacco dal connettore del corpo macchina, metallico, a cui sono ancora appoggiato con la mano destra.

E, in quel momento, capisco tutto. La definirei una folgorazione. Entro in contatto con l'energia cosmica, col piano Akashico, i Di Superiores et Involuti, l'etere dello Zelèm, e forse anche con la vicina centrale idroelettrica.

"Gnnnhpgpttnddnnn" grugnisco, e riesco a lasciare andare lo chassis; dopo di che, mi siedo in terra un momento, per riflettere sul da farsi intanto che mi si riavvia il sistema.

Alberto mi squadra ancor più preoccupato.

"Tutto bene?" mi fa.

"Certo. Benissimo. Perché non dovrebbe andare tutto bene?" rispondo, mentre mi alzo in qualche modo. La cosa da farsi è semplice e chiarissima. In effetti, riesco a pensare a pochissimo altro.

"Leo, hai, um... la faccia a scacchi bianchi e rossi..."

"Lo deve fare. L'elettricista."

"...Eh?"

Elettricista "L'elettricista", ripeto, e mi allontano barcollante, facendo una pregevole imitazione - probabilmente anche olfattiva - del tecnico di Base Alfa Anton Zoref, dopo che Carter l'ha centrato col laser.

Ho ricordi confusi: devo aver girato per l'edificio, e arrivo a questa saletta piena di gente mai vista, con l'aria ufficiale e ben vestita. Sudicio, ispido, sconvolto e con un marcato bouquet di alpeggio ("valle sub alarum trux habitare caper", come dice il poeta), entro nella saletta con un'espressione alla Mr. Magoo, mormorando "Elettricista?".

Ricordo vagamente questa tizia con una pettinatura elaborata e l'aria da nobildonna che mi squadra e mi domanda qualche cosa, di cui ricordo solo pallidamente il senso approssimativo ed il fatto che usasse un vocabolario ricercato. Sono però sicuro che abbia detto le parole "desidera forse".

"Dov'è l'elettricista?" "Lei desideva fovse intevloquive con lui?"

Forse il tono sussiegoso, forse il vocabolario, mi mandano definitivamente il reattore in scram.

"No," rispondo, e iniziando a urlare in crescendo, "io desidero forse fargli UN CU-" - e in quella il direttore arriva come un falchetto, mi afferra sottobraccio e mi riporta alla sala operativa ripetendomi frenetico "vengaviavengaviavengavia".

Ritornati alla sala, troviamo Alberto che prende a fissare il direttore con l'aria di chi si è ricordato che, insomma: sarebbe quasi l'ora di farlo, questo sacrificio a Odino, nevvero. Durante la mia breve assenza, ha fatto due più due, ci ha aggiunto un paio di deduzioni logiche, e ha smontato... la presa che alimenta tutto il cassone.

E dentro ci ha trovato i cavi di neutro, fase e terra - quest'ultimo, tagliato di netto, e sigillato con un giro di nastro isolante.

Tutto il dannato cassone andava a terra, a seconda dei casi, attraverso la calza dei segnali video, o l'antenna, o magari la linea del modem. Che caso, eh.

Convocato l'elettricista dopo avergli fornito ampie garanzie di incolumità - non ricordo, ma suppongo mi abbiano imbavagliato e incatenato alla sedia - si scopre che questo povirazzo è sì l'elettricista, ma solo perché lì sono quasi tutti volontari, e lui è l'unico che si sente a proprio agio avvitando una lampadina; nella vita, fa tipo il pizzicagnolo.

"Mi spiega per qual mai cagione deliberò la signoria vostra di recidere il cavo di terra, nel nome benedetto di Gesù nostro Salvatore e di Maria Vergine, Sua santa genitrice?" s'informa Alberto (potrebbe non aver usato esattamente queste parole: anche lui aveva avuto un bruttissimo mese. Il senso però era press'a poco quello).

"Ah. Eh. Be'. Il gruppo di continuittà, collegatto è. Non serve la messa a terra. C'è il gruppo di continuittà. E comunque le misurre ho fatto, il cassonne èrra a terra! Èrra a terra!"

"Ordunque, brav'uomo," prosegue Alberto forse non proprio con queste parole, e forse con aria non così innocua ed educata, "devi tu porre a mente, e ben rimembrarti pel futuro, che allorquando non s'apparecchia la messa a terra, e purtuttavia un istromento risulta ugualmente a terra, ciò sìati indizio e fede che tale istromento sta andando a terra per vie non previste, ed invariabilmente pagane ed eretiche: conciossiacosaché, lungi dall'essere un dono di Nostro Signore, quell'essere a terra è segno certo degl'intrighi del Maligno. Ricorderailo tu, brav'uomo, acciocché il mio sodale ed io non si debba un dì qui ritornare onde sottoporti al supplizio?"

Ed egli avendo così giurato, ci dipartimmo.