Non aprite quella porta

Posted on 01/01/2022 in amarcord

Troppi anni fa, decisi di prendermi una bicicletta. E, dopo pochi di', decisi che sarebbe stata una cosa buona custodirla in cantina anziché lasciarla fuori indifesa.

"Perché abbiamo una cantina, giusto, mamma?" m'informai.

"Ummm... sì, ma non so dove siano finite le chiavi."

Tre giorni dopo, in compagnia di un complice esperto di serrature, mi dirigevo verso la cantina. Stavo in un palazzo dei primi del Novecento, e i sotterranei erano scomodi, angusti, malsani e poco illuminati. Alla fine, dopo vari cunicoli da catacomba, trovammo la cantina in questione. C'era un motivo, se nessuno in casa la usava. Portare la bici lì era ovviamente una mission impossible; ma, a quel punto, la missione era divenuta "ormai siamo qui: riapriamo la cantina".

La porta era semplicemente un cancellaccio di assi di legno con un linoleum malamente inchiodato dall'interno, e non chiudeva perfettamente, così anziché lavorare subito alla serratura decido di curiosare. "Oh, qua sotto sarà quindici anni minimo che non viene nessuno, da che morì mio nonno" dico. "Chi sa cosa non c'è, qua dentro."

Incastro la torcia in una fessura perché entri un po' di luce nella cantina e appoggio l'occhio.

"Ehi, ma cosa..."

Cerco di spostare il fascio di luce, di guardare meglio.

"Per il cuore immacolato di Maria Vergine e Madre del Bambino Gesù" esclamo (potrei aver detto qualcosa di lievemente diverso).

"Che c'è? Cosa hai visto?" mi fa il mio sodale.

"Non ne ho idea," rispondo fra il perplesso e il preoccupato. "Sembra... somiglia... senti: non lo so, cosa sembra. Guarda un po' tu."

L'amico guarda a propria volta.

"Io non vedo un ca-" inizia, poi s'interrompe e fa un salto all'indietro. Mi guarda parecchio pallido.

"Leo... COSA. CAZZO. E'. QUELLA. ROBA."

"E che ne so io!?" protesto. Poi faccio la domanda importante. "Secondo te, è... ummm... be'... qualcosa di vivo?"

"Fammi guardare di nuovo. Non è possibile. Potrebbe essere un pipistrello? Sembra un pipistrello. Ha le ali. Quelle sono ali."

"Ma sei rincoglionito? Ma se è lungo più di mezzo metro! Non esistono pipistrelli così. E poi lo vedi ha una pelliccia. I pipistrelli non hanno la pelliccia. Credo."

"Forse è una pelliccia. Magari tua mamma..."

"Appesa a testa in giù? Da una trave di una cantina abbandonata da quindici anni?!? Con due zampe?!? Mia mamma la pelliccia la tiene nell'armadio. Oioi... lì in terra, guardagli sotto."

"Cristo, cos'è, è merda? Ha cacato per terra... maro', ha fatto una stalagmite di merda quel coso fetente. È tutto pieno di merda per terra."

"Che schifo di uno schifo."

"E'... e' una qualche bestia. E' entrata da quella finestrella e non e' piu' riuscita a uscire. Deve essere qui sotto da anni. E' morta, di sicuro. E' morta per forza, dai. Torniamo su e diciamolo ai tuoi."

"E che gli dico? Oh, c'e' un coso nero in cantina con le ali e un palmo di pelo, lungo quasi un metro se conti le zampe?"

"...e che si fa allora? Apriamo?"

"MA SEI SCEMO?!? Un cazzo, apriamo! Prima ci assicuriamo che, se il coso è morto, RIMANGA morto. E se non lo è, lo diventi, e di volata!"

"E' morto, dai. La merda in terra non manda più odore. E' morto da anni. Per forza. Hai in cantina una cazzo di bestia mummificata, Leo."

"Mummificata quanto ti pare, prima gli cacciamo in corpo il timore di Cristo - e, soprattutto, la verga di Aronne; poi ne riparliamo."

Ora, all'epoca conducevo una vita scapestrata, e avevo varia roba strana sotto mano (oggi, con l'esperienza e la maturità, ne ho parecchia di più). Ritornammo perciò in cantina un'ora dopo, muniti di sacchi dell'immondizia extralarge, alcool, candeggina, fotoelettrica a batteria, corda, una sorta di fucile a molla caricato con una sorta di arpione (non fate domande) in acciaio speciale, ed un altro aggeggio che, per diplomazia e mancanza di termini appropriati, chiamerò "una specie di lanciafiamme rudimentale a corto raggio"1.

Insomma, prudenza, pianificazione, valutazione delle conseguenze ecc. non erano esattamente il nostro forte. La nostra tipica strategia poteva riassumersi nella frase "Kreegah bundolo!".

Il piano era di aprire il fuoco - letteralmente - sulla cosa attraverso la porta chiusa, a tradimento. Non avevamo idea di cosa esattamente fosse; però, avevamo visto abbastanza film da ritenere che spalancare la porta avrebbe potuto rivelarsi una fesseria eccessiva perfino per i nostri standard2.

Sicché...

"Al tre. Uno... due... tre... FUOCO!"

Non fu possibile osservare la temuta reazione della creatura all'essere fiocinata a bruciapelo da due palmi di lama in acciaio al tungsteno, perché la fiammata che la raggiunse l'attimo successivo la fece esplodere.

Con violenza sufficiente da farci fare una capriola all'indietro (fun fact: si chiama "dust explosion", ma all'epoca non lo sapevo).

La porta, già forzata dalle canne delle armi e comunque in gran parte marcia, si scardinò del tutto, col risultato di rovesciarci addosso una nuvola del fumo più maledetto e pestilenziale mai registrato dalla morte di Plinio il Vecchio; al che, ci demmo a una fuga ingloriosa annaspando per i cunicoli, abbandonando fotoelettrica, sacchi, armi, tutto.

Una volta passata la tachicardia, e dissipatosi il fetore di esecuzione di mummia tramite sedia elettrica, ritornammo cautamente nella cantina a contemplare l'entità del disastro.

Tralasciando il resto dei danni, dal soffitto della cantina, al centro, pendevano due corde che trattenevano un... coso carbonizzato. Anzi, due cosi. Strinate via dalla fiammata strati geologici di muffe del tardo mesolitico, erano finalmente riconoscibili i cadaveri semiputrefatti, mummificati ed anneriti di quelli che - quindici lunghi anni prima - dovevano essere stati veramente due signori prosciutti, probabilmente regalati a mio padre da un paziente riconoscente (prima o poi, dovrò raccontare anche storie come quella del regalo di cipolle).

Fissiamo i due reperti disseccati sentendoci all'improvviso molto, molto stupidi, poi cominciamo a rimettere a posto, ripulire ed eliminare le prove senza guardarci negli occhi.

"Ha. Ha. Ha ha. Prosciutti. Erano due prosciutti, alla fine."

"Putrefatti e ricoperti di un palmo di muffa. Due fottuti prosciutti. Te lo immagini cosa non ci deve essere voluto, per far andare a male un prosciutto?"

"Ma era ovvio, dai. Ma che ti pare mai, che nel cuore di Firenze si va a nascondere il mostro del botro?"

"Chiaro che no. Io comunque ero tranquillissimo, eh, avrai notato."

"E io no? Ma chi sa quanti al posto nostro si sarebbero fatti prendere dal panico."

"Di sicuro. Ma noi no: noi abbiamo affrontato la cosa in modo razionale, misurato, con calma e senza reazioni estreme."

"Troppo vero. Oh! Recupera la fiocina di tungsteno e rimettila nella custodia: meglio se quella roba non la vede nessuno."

"Giusto. Andiamo, torniamo su e non parliamo più di questa faccenda. E chiudila la sicurezza sul bruciatore, vogliamo mica lasciare sporco di napalm per terra."


Ah, la bici continuai a chiuderla fuori. Me la fregarono poche settimane più tardi.


  1. Color che sanno, considerino che quelli erano gli anni ruggenti, quando la banda evocò il demonio sopra Settignano, e quando per poco non tememmo di restare sotto le macerie della galleria di Sant'Andrea a Sveglia. Diciamo che alla bomba atomica amatoriale non ci siamo arrivati, ma solo perché ci mancava l'uranio. Due o tre anni dopo, a seguito di uno stupido scherzo e del mio frettoloso tentativo di cavarmi d'impaccio ("Cosa farebbe al mio posto Bruce Banner?"), sarei finito, io da solo, in cronaca di Grosseto, descritto come "la solita banda di vandali". 

  2. Standard che contemplavano appunto il far brillare ordigni rudimentali all'interno di vecchie gallerie ferroviarie in disuso, stando dentro le medesime; per non parlare dell'incidente del pozzo nero, o della ricerca di fughe in un apparecchio Kipp difettoso usando una fiamma libera (la scienza dice che non possono verificarsi esplosioni. Ma io c'ero, e posso garantire che, almeno in questo caso, la scienza si sbaglia).